Grafica d'arte

Rivista di storia dell'incisione antica e moderna e storia del disegno AnnoXII Luglio-Settembre 2001 Numero 47 A pag. 16 ha pubblicato:

Luigi Servolini, semplicemente, mio padre

di Donatella Servolini

Il suo primo, grande, inesauribile amore per il bel legno inciso è stato compagno della sua vita: per suo mezzo ha creato, combattuto appassionatamente (contro gli orbi e la gente in malafede), studiato e approfondito la storia della bella tecnica con la dedizione dell'amante verso l’oggetto amato, trovato e aperto la via maestra da percorrere con fervore costruttivo per ridare slancio ed energia vitale alla bella arte incisoria. NO ai compromessi e alle facili scelte soleva raccomandare ad artisti e appassionati d'arte che frequentavano la nostra casa. Ora, dopo tanti anni, quelle parole, che risuonano nei miei ricordi ancora palpitanti e chiare, rivelano il principio che ha ispirato il suo stile di vita e la sua arte fatto di passione, sincerità, impegno.

Mi ricordo mio padre nella campagna forlivese, assorto ad osservare un vecchio pozzo, prendere un foglio (sempre presente in una delle sue tasche, insieme alla matita) e con foga disegnare quanto aveva appena mirato utilizzando poche ed essenziali linee (la sua traccia come mi disse, vedendomi tutta assorta dietro di lui). Ho visto quel pozzo sul foglio, poi messo a china, infine riprendere vita sul legno attraverso colpi decisi e marcati (le sue sciabolate). A questo punto il legno diventava il Suo Legno: lo aveva plasmato, segnato con la sua mano, graffiato con intensità espressiva... una parte di sé viveva, ora, autonoma da lui! (Prime gemme, legno di filo, orig. mm. 270x300 ). Il suo bel tavolo verde da lavoro, dalla superficie ruvida e rugosa, incrostato di macchie d’inchiostro, era una costante attrazione per le mie mani e i miei occhi. Con i polpastrelli ripercorrevo i suoi lunghi o brevi solchi, che diventavano le linee del mio immaginario labirinto, affondavo il dito mignolo all’interno dei piccoli buchi per riceverne la gradevole sensazione tattile, graffiavo con le unghie le croste inchiostrate, per poi sporcare un foglio con impronte impazzite, giocherellavo con i riccioletti di legno dimenticati sulla superficie, accarezzavo con estrema attenzione le amate sgorbie di mio padre. Conoscevo bene la cura che rivolgeva ai suoi "ferri", gli arnesi che gli permettevano di incidere la "pelle generosa" del legno. Mi confidava che le sgorbie erano i mezzi più adatti a "sentire e a trattare" la "squisita materia", con loro poteva scavare con segni forti e decisi i "bianchi", risparmiando i "neri" del disegno, imprimendo quegli effetti di spazialità e creando quei giochi di luce e buio, che avrebbero reso la sua xilografia originale e inconfondibile. Devo a mio padre la capacità di riconoscere "a naso" le opere belle, cariche di vitalità, sincere da quelle fredde, sbiadite e ricercate, casualmente espresse nel legno: nelle prime prevale la personalità dell'artista, con la sua ispirazione e talento, nelle seconde dominano virtuosismo tecnico e abilità riproduttiva. Da toscano verace, spesso ricorreva al proverbio popolare per esprimere con efficacia e semplicità il nocciuolo del problema. "Non si possono vendere lucciole per lanterne", era solito dire quando si imbatteva in pseudoxilografie, grigie e piatte, che tanto dolevano alla sua arte prediletta. "Per essere veri artisti incisori - ripeteva con inesauribile vigore - non basta impadronirsi della più raffinata perizia tecnica, occorre possedere l'anima, cioè la ragione artistica". Accanto al banco di lavoro si trovava sempre la sua scrivania, compagna silenziosa e fedele del suo lungo e infaticabile tempo dedicato allo studio, alla lettura, alla scrittura. Spesso il ticchettio della macchina da scrivere, che scorreva uniforme e senza inciampi, mi faceva origliare alla porta in attesa di poter entrare nello studio senza distrarlo dal suo lavoro. Entravo, mi accovacciavo sul tappeto e aspettavo. Aspettavo il suo sguardo e il suo sorriso. "Don, stai qui con me, raccontami......" , mi diceva invitandomi a venirgli vicino. Ma era soprattutto lui a parlarmi dei suoi libri, a farmi vedere stampe e disegni antichi e a farmi conoscere cosa studiava. Fu in una di queste occasioni che sentii parlare per la prima volta di Ugo da Carpi, il più grande xilografo rinascimentale al quale avrebbe dedicato cinquant'anni di appassionata ricerca e di studio instancabile. Quando finalmente riuscì nella sua impresa - "ha edificato il monumento ad Ugo da Carpi" ha scritto la miglior critica italiana ed estera alla presentazione della sua pubblicazione Ugo da Carpi: i chiaroscuri e le altre opere -, io non ero più una bambina, ma la madre delle sue adorate nipoti che, insieme, condivisero con lui la soddisfazione e l'orgoglio di un’opera di tale fatta. Mio padre amava veramente i libri (fu direttore di biblioteche e fondatore di tre musei dell'Incisione). La nostra casa ospitava centinaia di volumi e l'odore di carta si mischiava inevitabilmente con gli invitanti profumi della cucina di mia madre. Grandi librerie si alternavano con improvvisate colonne di libri sul pavimento, in attesa di una più adeguata collocazione. Fra questi molti libri erano stati scritti da mio padre: sull'arte incisoria, sulla storia dell'arte, su artisti. Molti erano stati scritti su di lui. Pitture e incisioni signoreggiavano sulle pareti domestiche lasciandone a stento liberi i margini estremi, sculture, appoggiate su ogni superficie trovata libera, arricchivano i mobili, precocemente invecchiati dai numerosi traslochi. La mia casa paterna assomigliava molto ad un museo o ad una galleria d'arte, ma rispetto a queste ogni opera era amata, curata, guardata, interrogata. Quante volte, per mano di mio padre, ho visitato le esposizioni della sua arte attraverso itinerari italiani e stranieri: le marine vaste e sonanti, i colori brillanti delle nature morte, gli intensi volti di madonne e santi, le maestose sagome di alberi giganteschi, le realistiche scene di vita rurale... non cessavano di risplendere della loro intensa luce espressiva, nonostante il mio timore, tutto infantile, che l'improvvisa separazione dai luoghi cari e familiari potesse in qualche modo velarne l'intrinseca bellezza. Mi ricordo mio padre, dal volto segnato dalla stanchezza, l'organizzazione di ogni sua personale richiedeva, infatti, estrema cura e tempo interminabile, dialogare e discutere con quanti lo interrogavano sulla sua "squisita arte". Rivedo nel gruppo degli appassionati, che era solito presenziare a queste manifestazioni, Carrà, Purificato, Ghiglia, Breddo...... ma anche chi, sconosciuto e lontano dal mondo accademico, tuttavia mosso dal medesimo entusiasmo per le cose belle e autentiche, stringeva la mano di mio padre con commozione, trasmettendo in quel semplice gesto la sincera emozione provata. Soprattutto verso i giovani artisti, che si accingevano ad esplorare e a cimentarsi nel mondo favoloso dell'arte, fu veramente un magnanimo maestro: la sua casa rimaneva loro aperta, consigli, suggerimenti ed esortazioni erano dati in profusione, discussioni e dibattiti risuonavano tra le pareti domestiche, alternando momenti di crescente intensità a piacevoli chiacchierate in sordina. Questa assidua frequentazione di neofiti, ma anche di artisti di chiara fama, aveva messo alla prova, e poi rivelato come straordinariamente grande, la capacità di mia madre di saper accogliere e far sentire a proprio agio qualunque visitatore. Sempre per loro, le "future promesse", per diversi anni mio padre organizzò estemporanee di pittura nella bella campagna di Nocolino, una piccola frazione tra i comuni toscani di Riparbella e Castellina Marittima. Qui i giovani potevano incontrare i veterani dell'arte e mostrare il loro talento e capacità espressiva. Si chiedeva loro di vivere intensamente questa propizia opportunità e di trasportare di getto sulla tela il proprio particolare sentire, lasciandosi ispirare dal teatro della natura, formidabile scenario entro cui, non a caso, si svolgeva la manifestazione artistica. Un ricordo caro va a Walter Magnavacchi, artista e critico d'arte, solerte organizzatore del "Premio Nazionale di Marina di Ravenna", che per molti anni volle mio padre nella giuria e a capo dell'ufficio stampa di questa importante rassegna pittorica. Anche qui il generoso maestro, le cui cure ormai mi ero rassegnata a dividere con altri, dimostrò la sua inesauribile propensione ad aiutare e sostenere le nuove leve: "acuta sua penna di critico veramente esperto del mestiere (e quindi con le carte in regola come pochi) - scriveva nel Gennaio 1973 il patron Magnavacchi, per documentare gli esiti della manifestazione - ha accompagnato e aiutato i nostri artisti con presentazioni alle loro personali". Proprio questi bellissimi giorni estivi trascorsi nella cittadina romagnola, allietati dai colori e dalle forme delle tele esposte, odorosi della fragranza marina e pregni del profumo persistente della tipica piadina, resi indimenticabili anche per la presenza di grandi artisti del mondo dello spettacolo, sono stati gli ultimi giorni - siamo nella seconda metà degli anni '70 - in cui ho visto mio padre ancora sostenuto dal suo antico vigore e spinto dall'entusiasmo di sempre, prima del suo ritiro a vita privata, dedicato agli affetti familiari. Mio padre è morto il 29 Settembre 1981, il giorno prima del mio 39° compleanno, un anno prima della nascita del suo primo bisnipote. E' morto nella sua casa di via Bernardetto Borromei, nell'amata Livorno. E' morto tenendo stretta la mia mano.

Un nutrito programma di manifestazioni è stato fatto in suo ricordo. Alla Villa Fabbricotti, lo storico parco pubblico della città labronica, è stato posto il suo busto scolpito dall'amico Sparapani. Anche la RAI gli ha dedicato servizi e documentari, settanta riviste specializzate lo hanno commemorato con articoli biografici e critici. "Ho cominciato ad interessarmi all’arte guardando le xilografie di Luigi Servolini, che mio padre aveva acquistato dall'amico Cini........" le parole di Vittorio Sgarbi, pronunciate durante una sua recente trasmissione, sono state come una sciabolata che mi ha sconquassata violentemente, risvegliandomi da un torpore insopportabile, colpevole di avermi reso dimentica dell’impegno intimamente preso. Mio padre credeva profondamente nel valore delle donne della sua famiglia, di loro osservava interessi, inclinazioni e desideri, ne ascoltava pensieri e riflessioni, proiettava su di loro l'attesa di grandiosi eventi futuri. Attraverso la mia voce e quella delle mie figlie la sua arte continuerà a vivere, forte e sincera come è sempre stata; una voce tutta femminile che saprà ripercorrere le tracce paterne con cura e fedeltà, una voce da lui sempre ascoltata e amata.